Da Manfredonia a New York: la maratona di Giovanni Damiano

Sarà il fascino della Grande Mela o lo spettacolo offerto dai cinque distretti attraversati, la Maratona di New York, alla sua 51° edizione, dopo lo stop imposto per la pandemia, è tornata in tutta la sua magnificenza confermandosi la corsa più bella del mondo. Un’immensa folla di oltre 50000 runners provenienti da tutte le parti del mondo ha animato lo start del leggendario ponte Di Verrazzano. Una festa dello sport, un sogno per tanti amatori, appassionate celebrità e personalità internazionali che provano l’ebbrezza della competizione, mettendo a nudo la voglia di oltrepassare i propri limiti, abbinando sport e progetti sociali. Per la cronaca la gara è stata vinta dai kenioti Evans Chebet, tra gli uomini, e Sharon Lokedi, tra le donne, che hanno preceduto tutti i 47.839 finishers. Ben 2222 i connazionali ai nastri di partenza. Storicamente si contano secondo una stima sommaria, circa un centinaio di manfredoniani che hanno “tentato l’impresa”. Su tutti, menzione speciale per Matteo Palumbo, che nel 2002 si distinse con un prestigioso tredicesimo posto assoluto e con ragguardevole tempo di 2:16.06.  

Alla nutrita flotta di rappresentanti “nostrani” e simpatizzanti podisti, che nell’arco degli anni hanno tagliato il traguardo del Central Park, si aggiunge nella kermesse annuale, il sipontino Giovanni Damiano, classe 80, che abbiamo intercettato per Sportivamente, al suo rientro in Italia, al fine di portarvi nel cuore della manifestazione podistica più importante del pianeta.

Giovanni, cosa rappresenta la Maratona di New York e per te in particolare? È stata la tua prima prova nei 42.195km?

“Per me è stato un sogno che si è realizzato, perché l’ho sempre seguita in TV e sognavo di partecipare un giorno, ma la vedevo come una cosa irrealizzabile, in quanto non pensavo di riuscire a correre per 42 km e 195m. Per me si tratta della prima maratona in assoluto”.

Quali sono le sensazioni e le emozioni più intense che hai vissuto?

“Le emozioni sono intense ogni chilometro che percorri, perché lo Skyline è da brividi mentre corri e sentire i newyorkesi incitarti fino all’arrivo a Central Park nominando il tuo nome, è una sensazione che lascia il segno”.

Sei stato immortalato con la sciarpa del Manfredonia. Cosa hai portato della sipontinità in giro per la Grande Mela?

“Ho portato lo spirito di adattamento a ogni situazione che abbiamo noi sipontini, nonché la professionalità nel fare le cose”.

Da quanto tempo pratichi la corsa e quando hai maturato l’idea di parteciparvi?

“Pratico questo sport a livello agonistico da 4 anni, partecipando a gare di 10 km e mezze maratone di 21km e 97 m. Ho maturato l’idea di partecipare alla Maratona di New York dopo la mia prima esperienza all’estero, correndo la mezza maratona di Amsterdam”.

La maratona richiede capacità fisica ma anche mentale. Che difficoltà hai trovato sia in fase preparatoria che in gara e come le hai superate?

“La corsa aiuta a conoscere meglio il proprio corpo e a gestire le difficoltà, soprattutto quando avverti che il limite si sta avvicinando. Ho iniziato la preparazione a luglio, sacrificando le mie giornate estive, ma purtroppo il fisico arriva fino ad un certo punto, soprattutto dopo il 36esimo km, subentra la mente. Durante la maratona ho superato i momenti difficili pensando a cosa stavo realizzando, soprattutto quando vedi negli ultimi chilometri la gente che si ritira, distrutta che si accascia a terra. Questa edizione è stata caratterizzata dal caldo eccezionale e da un tasso di umidità anomalo per il mese di novembre a New York, questo ha reso tutto più difficile, considerando che già di base il percorso presenta difficoltà notevoli con i continui sali scendi, soprattutto negli ultimi chilometri, dove stringere i denti e arrivare al traguardo”.

Venendo dall’altra parte del globo, prima della competizione hai dovuto gestire anche la preparazione e smaltire il fuso. Raccontaci come ti sei organizzato.

“Per smaltire il fuso e adeguarmi all’alimentazione, sono partito una settimana prima della maratona, perché è molto importante arrivare al grande giorno in perfette condizioni mentali e fisiche”.

Il Central Park(traguardo) cosa ha significato in quel momento?

“Per me ha rappresentato la realizzazione di un sogno, dopo aver pianto dalla sofferenza a causa dei crampi che mi hanno tormentato negli ultimi dieci chilometri, uno dei traguardi della vita. Tagliare il traguardo di uno degli eventi sportivi più importanti al mondo, insieme alle Olimpiadi, ai Mondiali di Calcio, al Superbowl è qualcosa di cui andarne fieri. Non sei un maratoneta se non hai fatto almeno una volta la maratona di New York”.

Come hai concluso la gara e con quale prestazione cronometrica? Sei soddisfatto?

“Ho chiuso la gara in 4h e 23m. Il mio obiettivo era chiuderla poco sopra le 4 ore, ma considerando le condizioni avverse che ci sono state, caldo eccezionale e come già detto i crampi negli ultimi dieci chilometri, sono molto soddisfatto”.

Dopo quest’esperienza positiva, cosa ti riserva il futuro sportivo? Ci riproverai o hai in serbo qualche altra sfida?

“Dopo questa esperienza, la prima cosa che mi verrebbe da dire è rifarla l’anno prossimo, ma la maratona è un grande impegno che sottrae tempo alla vita quotidiana.  A parte questo, continuerò a partecipare a competizioni italiane, ma ho in serbo di fare un’altra mezza maratona all’estero, forse quella di Lisbona”.

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