Limitatezza dell’Italia del Rugby, Scozia – Italia 26 a 14

La sesta e ultima giornata del Guinnes Six Nation mette in evidenza tutta la limitatezza del rugby italiano. A Edimburgo l’ordine categorico per i nostri 22 è quello di vincere per dimostrare che il gruppo, nell’ultimo anno di gioco, ha veramente fatto un passo importante per colmare il gap con le squadre più titolate del rugby. Nell’Autumn Nation Series 2022 gli Azzurri vincono per la prima volta contro l’Australia e poi bissano il successo contro i samoani, perdendo solo con onore contro il Sud Africa campione del Mondo. Tutti noi tifosi abbiamo sperato per un Sei Nazioni 2023 pieno di soddisfazioni. L’Italia perde di misura contro la Francia all’Olimpico con un 24 a 29 guadagnando un punto difensivo; a Twickenham confusionari nel primo tempo, ma più reattivi nel secondo perdono onorevolmente contro i maestri inglesi; di nuovo all’Olimpico contro l’Irlanda, squadra attualmente numero uno nel ranking mondiale, gli azzurri perdono 20 a 34, ma riescono a mettere in difficoltà nel secondo tempo i verdi d’Irlanda. Tutto questo ha alimentato la speranza di rivedere vincente la nazionale all’Olimpico contro il Galles, squadra battuta nell’edizione precedente a Cardiff. Una vittoria casalinga che sfugge all’Italia dal 2015, ma la nostra limitatezza mentale nel gestire la superiorità tecnica ha trasformato una partita di un possibile riscatto morale in una sconfitta pesante, tanto da regalare l’ennesimo cucchiaio di legno (ultima classificata nel torneo) agli Azzurri. L’Italia perde contro il Galles 17 a 29, i nostri XV non riescono a gestire la tensione, la pressione, il gioco dell’avversario. Oggi a Edimburgo si voleva dimostrare che l’Italia c’è, l’Italia è davvero ad un punto di svolta, L’Italia davvero vuole colmare il gap con le altre partecipanti e dimostrarlo con una vittoria fuori casa contro la Scozia. Purtroppo anche questa partita ha dimostrato l’inesperienza dei nostri giovani giocatori, l’assenza nelle retrovie di Ange Capuozzo infortunato, la limitatezza nella gestione della partita dal punto di vista mentale e la limitatezza nel gioco di reparto. La mischia italiana non ha funzionato regalando falli e ripetute disattenzioni che hanno fatto sì da concedere al 22′ del primo tempo un cartellino giallo ai danni del nostro pilone di destra Niccolò Cannone, facendo giocare l’Italia in inferiorità numerica. Ma il problema di oggi non sono solo gli avanti, ma anche i nostri trequarti non brillano nella scelta di gioco. Questo è evidente, alcune volte, da parte del nostro mediano di apertura Garbisi, scegliendo il gioco al piede senza un particolare senso tattico. L’Italia oggi non ha funzionato ed è tutto ben rappresentato nell’assalto finale degli azzurri nell’area dei 22 avversaria. I nostri XV, al 76’del secondo tempo, sotto solo di 5 punti nei confronti della compagine scozzese, potevano fare la meta del pareggio e della possibile trasformazione che ci avrebbe portati a +2 sulla Scozia e conquistare la tanto ricercata vittoria in questa edizione del torneo. Invece non è andata così. L’Italia dopo numerosi fasi di gioco nei 5 metri avversari, a un passo dalla linea di meta, vanifica tutto con un passaggio in avanti. Mischia per la Scozia all’80’ nei propri 5 metri. Qui arriva la beffa finale. Gli scozzesi, già vincenti, possono calciare fuori e finire la partita con un 19 a 14, ma gli Highlander, spinti dal tifo locale e dal suono delle cornamuse, scelgono di giocare fino alla fine. Liberano perfettamente la palla dalla mischia chiusa, si involano con i trequarti che macinano metri arrivando dall’altra parte del campo segnando l’ultima meta, la quarta che fanno ottenere anche il punto bonus in attacco. Mentalità diversa, concretezza e qualità tecnica superiore rispetto a quella italiana. Per gli azzurri l’ennesima sconfitta, l’ennesimo cucchiaio di legno, l’ennesima delusione per i tifosi stanchi di vedere sconfitte onorevoli. Siamo alla 23^ edizione partecipante, ma non c’è nessun segno di miglioramento. Fatta eccezione per l’edizione del 2007 e del 2013 con due vittorie per edizione che hanno regalato il quarto posto in classifica, l’Italia non brilla nel Sei Nazioni. Abbiamo solo fatto sporadiche vittorie, sporadici segni di miglioramento, ma nella realtà l’Italia del rugby non è ancora matura per colmare il gap tecnico, strategico di gioco e di mentalità nei confronti dei nostri cugini d’oltralpe e dei nostri avversari oltre manica. Ma la sconfitta deve essere ricercata nella Federazione stessa. Per la FIR vincere la partita d’esordio al Torneo Sei Nazioni all’Olimpico è stato un punto d’arrivo e non di partenza. L’Italia dal rugby ha impiegato circa 72 anni per essere riconosciuta a livello internazionale, per essere considerata pari rispetto alle nazionali storiche, e il riconoscimento è stato quello del 1998 con la decisione, da parte dell’organizzazione del Cinque Nazioni, di far accedere l’Italia al torneo rugbistico più antico e prestigioso al mondo con l’edizione del 2000. Per noi sembrava tutto in ascesa, ma in realtà la Federazione ha fatto veramente poco o nulla per rinnovarsi, per propagandare meglio a livello nazionale questa disciplina sportiva e a motivare più giovani a intraprendere questo sport. Basta pensare che oggi ha esordito da titolo il mediano di mischia Alessandro Fusco, primo giocatore partenopeo a giocare nel Sei Nazioni. Al di sotto del Vulture la Federazione Italiana Rugby non ha mai studiato piano strategici per sviluppare questo sport nel Mezzogiorno d’Italia, perdendo l’occasione di coinvolgere 14 milioni d’italiani da dove potevano uscire possibili risorse umane. Tutta l’attività è concentrata nel centro-nord Italia soprattutto tra Veneto-Lombardia-Emilia Romagna. Inoltre, la Federazione Italiana spende circa 4 milioni di euro per finanziare la squadra delle Zebre, squadra che gioca a Parma con tecnici e preparatori gestiti dalla Federazione stessa per giocare in Celtic League, oggi United Rugby Championship, aperto a squadre Italiane, Gallesi, Scozzesi, Irlandesi e Sud Africane. Le Zebre non vanno mai oltre l’ultimo o il penultimo posto e questo carrozzone mangia risorse non fornisce neanche giocatori di qualità alla nazionale stessa. Solo 7 giocatori delle Zebre su 33 sono stati convocati in nazionale. Ma non è solo questo il problema. Nessun giocatore del massimo torneo italiano di rugby per club Top Ten viene convocato in nazionale, perché? Non abbiamo un campionato di livello al pari di quello francese o d’oltre Manica. Esistono due federazioni, quella per la Nazionale di Rugby che tenta di giocare con un rugby di alto livello e il resto d’Italia dove la Federazione non riesce a creare strategie atte a aumentare tesserati, ad aumentare le qualità tecniche di giocatori ed allenatori per arrivare ad avere un’equa distribuzione delle squadre partecipanti al Top Ten in tutta la penisola italiana. La realtà delle nostre società è fatta di dilettantismo, di dirigenti e allenatori che sono per la maggior parte dei casi volontari o semi-professionisti. Le risorse economiche che servono alle società per fare il salto di qualità non arrivano dagli sponsor poiché il rugby italiano è poco visibile, poco conosciuto, poco propagandato. Non esiste una “Coverciano” del rugby per gli allenatori per formarli e per studiare tattiche di gioco, tutto è affidato a tecnici regionali che girano sporadicamente nelle società senza formare allenatori e di conseguenza giocatori. I club sono abbondonati a loro stesso, vivono di passione e non di professionismo e i campionati giovanili sono molto limitati da numero degli atleti e dalla qualità. Come può colmare il gap la Federazione Italiana se le stesse basi dove si poggia il rugby italiano non sono solide? Perché spendere continuamente soldi e risorse per finanziare squadre come le Zebre o Accademie Federali che non riescono ad esprimere giocatori di qualità, di livello? Questo si evince dal fatto che 10 giocatori su 33 giocano nel campionato inglese o francese, dal fatto che il resto dei giocatori sono oriundi. Il rugby non si sviluppa perché la Federazione Italiana vive il ricordo del suo ingresso al Sei Nazioni e della prima vittoria del torneo. Può una Federazione vivere di ricordi? Occorre un reset vero, lavorare dal basso, nei club, entrare nelle scuole, far conoscere il rugby e i suoi valori, creare un campionato U19 d’élite nazionale e non solo regionale, magari creando anche un campionato universitario. Purtroppo in Federazioni mancano idee e voglia di evolversi, ma regna la consuetudine, il “si è sempre fatto così” che non porterà avanti il movimento e neanche la nostra Nazionale. Lo slogan di quest’anno della Federazione è “stringiamoci a coorte”, ma non siamo pallidamente paragonabili a forza, tecnica, efficacia e voglia di vittoria a una coorte romana.

Fonte image: Federazione Italiana Rugby

Marco Gallifuoco

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